“Tu non sei ciò che ti è accaduto nel passato”.

Proverbio Zen

VIVERE SENZA STRAINS/STRESS

Una breve introduzione prima di entrare nel cuore dell’argomento è doverosa. Oggi parlare di stress è divenuta quasi una moda, perdendo così il significato originale del concetto. Stress significa banalmente stimolo, il quale si presenta sotto diverse forme e con diversi effetti dipendenti dalla sua origine, che può essere esogena o endogena. Se il termine si riferisce a uno stimolo, la persona stressata sarà solamente una persona soggetta a una sovra stimolazione, rispetto al suo regime di tolleranza (che è estremamente soggettiva). Hans Selye, endocrinologo austro-canadese, conia per primo la parola “stress” definendolo “una sollecitazione fatta al nostro organismo (sollecitazione aggressiva o non) alla quale sia possibile o meno adattarsi e alle quali sia possibile o impossibile rispondere”. Hans Selye definì “Sindrome Generale di Adattamento” quella risposta che l’organismo mette in atto quando è soggetto agli effetti prolungati di svariati tipi di stressor, quali stimoli fisici (fatica), mentali (impegno lavorativo), sociali o ambientali (obblighi o richieste dell’ambiente sociale). Questo stato dell’essere genera un malessere generalizzato nell’individuo, il quale può, anche non esserne consapevole, riducendo la sintomatologia a fattori casuali, e va detto che molto in tali circostanze, dipende anche dall’inclinazione caratteriale del soggetto. Prima di procedere vediamo però come agisce lo stress e come reagisce, a sua volta, la persona che ne soffre.

L’evoluzione della sindrome generale di adattamento, alias lo stress, avviene in tre fasi:

  1. Fase di Allarme: l’organismo risponde agli stressor – mettendo in atto meccanismi per fronteggiarli – sia fisici sia mentali. Aumentano il battito cardiaco, la pressione sanguigna, il tono muscolare (attivazione psicofisiologica.)
  2. Fase di Resistenza: il corpo tenta di combattere e contrastare gli effetti negativi dell’affaticamento prolungato, producendo risposte ormonali specifiche da varie ghiandole, ad es. le ghiandole surrenali.
  • Fase di Esaurimento: se gli stressor continuano ad agire, il soggetto può essere sopraffatto e possono prodursi effetti sfavorevoli permanenti a carico della struttura psichica e/o somatica.

Esistono inoltre strumenti di misurazione dello stress sul sistema nervoso autonomo, simpatico para simpatico ed endocrino.

Il sistema nervoso autonomo è un centro di controllo che agisce in gran parte inconsciamente e regola la frequenza cardiaca, la digestione, la ritmica respiratoria, la risposta pupillare, la minzione, e l’eccitazione sessuale.

Questo sistema è il meccanismo primario nel controllo della risposta.

Il sistema nervoso simpatico ha origine nel midollo spinale e la sua funzione principale è quella di attivare i cambiamenti fisiologici che avvengono durante la risposta di lotta o fuga.

Il sistema   nervoso  parasimpatico ha   origine nel midollo   spinale e midollo e lavora in concerto con il sistema nervoso simpatico. La sua funzione principale è quella di attivare la risposta “riposarsi e digerire” e restituire al corpo l’omeostasi dopo la risposta allo stimolo.

Il medico statunitense Walter Bradford Cannon – professore del Dipartimento di Fisiologia presso l’Harvard Medical School – ha introdotto il concetto di “risposta di lotta o fuga” descritta nel suo libro “La Saggezza del Corpo” del 1932, a proposito dello stress, intendendo con risposta di lotta o fuga il congelamento o iper-vigilanza, l’iper-eccitazione o la rassegnazione come una reazione fisiologica che avviene per risposta ad un evento percepito come un attacco o minaccia alla sopravvivenza, quindi esattamente la traduzione dello stress in termini fisiologici.

Cannon afferma che gli animali reagiscono alle minacce con una scarica generale del sistema nervoso simpatico, che li porta obbligatoriamente a combattere o fuggire. Più specificamente, dimostra che il midollo surrenale produce una cascata ormonale che provoca la secrezione di adrenalina.

Egli utilizzò il termine omeostasi (il processo che mantiene la stabilità dell’ambiente interno del corpo umano come risposta ai cambiamenti delle condizioni esterne) per spiegare la correlazione tra lo stress e l’autocompensazione interna. Quindi il sistema limbico che risiede nel centro emozionale che comanda il sistema neurovegetativo (il quale agisce immediatamente dopo la fase di allarme rallentando il ritmo cardiaco), abbassa la pressione arteriosa, regola la digestione e la respirazione.

Poste queste premesse scientifiche, è inevitabile presentare la figura professionale di Maurice Raymond Poyet un geniale osteopata autore di un’approfondita ricerca che ha portato alla luce la terapia manuale informazionale. Ogni volta che ci penso, sorrido, poiché le iniziali del suo nome corrispondono all’acronimo del Movimento Respiratorio Primario – MRP – evidenziato da William Garner Sutherland (1873-1954), osteopata e allievo, a sua volta, del padre dell’Osteopatia Andrew Taylor Still.

Quest’intuitivo e grande studente affermò nel 1920 che le ossa del cranio, non erano fuse tra loro, come comunemente si credeva fino allora, ma articolate per interposizione di tessuto connettivo e rilevò per primo che esse eseguivano dei micro movimenti di flesso – estensione e intra ed extra-rotazione. Rilevò, tramite studi condotti su stesso, la presenza nel cervello di un movimento involontario ritmico di espansione/retrazione di 8-14 movimenti al minuto e che esso permetteva le fluttuazioni ritmiche (indipendenti dai movimenti cardiaci e respiratori) che agivano come un meccanismo idrodinamico attraverso tutto l’organismo. Su queste basi Poyet estese i movimenti vitali ritmici craniali a tutte le ossa dello scheletro: fu un grande lavoro d’indagine e di analisi! Scoprì delle relazioni fondamentali cranio-pelviche, che determinano la qualità dei micromovimenti al cranio, e intuì e trovò una rete reattiva di collegamenti energetici in grado di riportare velocemente all’organismo le proprie capacità di auto guarigione, che con semplici sfioramenti informativi e induttivi “non più pesanti di una farfalla che si appoggia su un fiore” per reazione a catena si diffondevano e agivano sul corpo. Questa rete reattiva energetica della dinamica circolatoria dei fluidi la individuò sull’osso sacro. Poyet affermava la necessità di restituzione e armonizzazione della motilità quale condizione indispensabile al libero potenziale espressivo della mobilità, secondo la MTC (medicina tradizionale cinese) la motilità (Yin) è madre della mobilità (Yang). Prendere coscienza di questi movimenti appena percettibili ha consentito l’apertura a una scienza estremamente fine e precisa. Desidero spendere, anzi investire, alcune righe spiegando brevemente la disciplina nella speranza di riuscire a trasmettere la bellezza intrinseca del metodo Poyet. Si basa sul “sentire sottile” per mezzo di “una super sensibilità tattile” dei micro-movimenti legati al ritmo del passaggio dei fluidi vitali in ogni regione corporea. La “lesione” osteopatica pulsatile- seguendo i protocolli terapeutici del metodo Poyet – si presenta sotto forma di “restrizione” di ritmo motile, in rapporto a non importa quale asse. Il “segmento” colpito ha perduto tutto (o in parte) il suo ritmo di motilità. La motilità è un micro movimento individuale e autonomo incosciente e involontario di ogni elemento costituente l’organismo, da un lato quando presente, è espressione del suo equilibrio particolare, dall’altro se assente e quindi “liberato”, ha bisogno di essere sincronizzato in una sorta di armonia di movimento tra un elemento e l’altro. Quello che differenzia questo metodo osteopatico fluidico da tutti gli altri, è la visione d’insieme, più un problema è anziano più si generalizza nel corpo entrando in profondità adattandosi permanentemente. Quando questa capacità di adattamento corporale s’interrompe, allora si potrà manifestare un problema, sia un sintomo o sia una malattia non ha importanza; dal momento in cui qualcosa non funziona, tutta l’attenzione si focalizza su quel punto e in quel preciso momento egli perde la sua unità. Ciascuna seduta di cura è concepita come un mezzo per riequilibrare l’insieme, poiché è ormai accertato che le correzioni parziali, limitate all’area in cui compare il disturbo, difficilmente s’integrano all’unità psico-corporale. Se per esempio vi capitasse di sentire improvvisamente un dolore alla schiena istantaneamente mettereste l’attenzione su quella parte della schiena, qualsiasi persona immediatamente desidererebbe sbarazzarsi del dolore nel più breve tempo possibile. L’unica cosa che v’interesserebbe in quell’istante sarebbe guarire immediatamente dal male e non sentire più il dolore. In quel preciso momento la vostra unità è frammentata, semplicemente esiste un mal di schiena ambulante, ma è tutto il vostro Essere a esserne investito. La vostra Persona passerebbe in secondo piano. Lo stesso esempio varrebbe per una sofferenza psichica o emozionale diciamo energeticamente (Yin) rispetto alla parte fisica in senso stretto (Yang). Se ci facciamo prendere dal punto dolorante, esso ci mette sulla classica falsa pista, più verso la scomparsa del sintomo che verso la cura della persona, che si sentirà sollevata da ogni responsabilità attraverso facili soluzioni precostituite e generaliste che non possono essere integrate.

Bisogna trovare accoglimento nell’unicità e unità della biologia che esprime il disagio. Questo metodo non pretende di avere risultati specifici ma permette un’armonizzazione delle tensioni che parassitano l’organismo e lo inibiscono dal poter utilizzare tutto il potenziale energetico a propria disposizione. Nell’insieme del miglioramento generale il sintomo scompare.

Per comprendere ancora meglio la delicatezza e la profondità del metodo e del risultato che ne consegue, è necessario, a questo punto, riprendere il concetto di stress e cercare di comprendere a fondo le tipologie di strains. Possiamo quindi immaginare uno o più blocchi del movimento ritmico MRP là dove esso si origina nella base del cranio e cioè in connessione tra la parte anteriore dell’osso occipitale e della parte posteriore dell’osso sfenoide. Questi blocchi condizionano la distribuzione ottimale del flusso ritmico, il modo di vivere e di comportarci; essi sono un’imposizione, un obbligo a non poter vedere o non poter attuarci creativamente e in prospettiva, in modo differente, nella nostra vita.

Gli Strains sono la conseguenza fisiologica di accumuli di stress insopportabili. Gli anglofoni fanno una sintesi: per definire gli “strains” usano sovente la parola “stress” facendo diventare questo termine unicamente “Stress and Strains” (infatti, l’accumulo degli stress non è solo uno stress ma, porta con sé anche il tentativo interno dell’organismo di gestirli, cioè lo Strain).

Un accumulo di stress della stessa famiglia/tipologia crea alla lunga una sovrapposizione che per un certo periodo potrà essere gestito dall’organismo, ma che inevitabilmente si stratificherà fino a quando si manifesterà in un vero e proprio blocco, come a dire che l’energia essenziale della persona troppo a lungo costretta porta alla sua sedimentazione e calcificazione, fino a compromettere la materia. Banalmente, se un soggetto non contatta la sua paura e vive in un continuo stato di allerta, ecco che le contratture dorsali e i dolori cervicali non tarderanno a manifestarsi.

Quando gli stress sono della stessa famiglia/tipologia, iniziano gli accumuli, come tante gocce che riempiono un bicchiere. Le gocce incominciano a esistere già al momento del concepimento (primo stress) proseguendo poi nelle acque materne e continuando per tutta l’esistenza. In media aggiungiamo una goccia nel bicchiere per ogni stress importante che impattiamo, e in ogni settimana che viviamo, è contenuto almeno uno stress importante.

Quando avviene poi una risonanza specifica, un lutto, un abbandono, una paura, un rifiuto, un’umiliazione, un’ingiustizia, essi prendono forma concreta. In quel caso non si riesce più a gestirli e l’acqua fuoriesce dal bicchiere: si ha la sensazione di straripare dall’interno.

Il cervello rettiliano crea sempre il modo per mantenersi sopravvivente, a qualsiasi costo e con qualunque mezzo, questa parte del cervello, infatti, presiede e dirige tutta la biologia del corpo. La conseguenza degli strains su una persona si manifestano a diversi livelli: uno strain è sopportabile, due strains sono già pesanti, tre strains diventano insopportabili. Essendo sotto Strain si ha l’impressione mancante del senso di libertà: semplicemente non esiste libertà interiore, la persona vive “condizionata”. La sua anima ne soffrirà, non ci saranno prospettive perché ci si troverà sempre immersi nelle difficoltà del presente, non si avrà la possibilità di proiettarsi in un futuro aperto. Sotto strain si ha l’impressione di girare in un circolo vizioso nella nostra vita, vi è una mancanza di gioia e queste sensazioni interiori sono comuni a tutte le forme di strains.

Con due strains ci ritroviamo gradatamente in sopravvivenza, senza progetti, con un quotidiano automatico, non più liberi di scegliere ma costretti a reagire, in circoli viziosi ripetitivi, mancanti di gioia di vivere e creatività. Questo bloccherà il nostro bambino interiore come conseguenza. Gli Strains possono essere una grande guida per capire il percorso dell’anima se sono utilizzati in modo spirituale a livello più integrato, dell’incontro o dell’atto che è successo, non può esistere un avvenimento se non esiste un desiderio inconscio che questo avvenga, io desidero questo, e questo crea l’evento.

Vediamo ora come si suddividono gli strains per tipologia, identificandoli per famiglie di appartenenza.

Nell’immagine che segue, è raffigurata la migliore diffusione energetica del MRP in assenza di Strains, nelle immagini successive gli assi mancanti, rappresentano l’assenza di circolazione del MRP rivelando la presenza di Strain.

 

Fig.27 Diffusione del MRP (Movimento Respiratorio Primario) Comp/Decomp- Ant/Post- Lat dx/Lat sx – Rot dx/Rot sx

 

Le Famiglie di Strains

  • Prima famiglia, o l’asse Terra-Cielo verticale e relazionale tra il Sé e l’Io (compressione/decompressione): le persone tendono a dire che “hanno troppe cose nella testa”, troppe regole, prevalentemente socio parentali, acquisite nella famiglia Natale, per regole intendo troppo senso del dovere, tendenza perfezionistica, insoddisfazione permanente, iper- criticità verso se stessi, troppa pressione interna auto generata, impossibilità a lasciare andare il controllo, eccessivo materialismo terrestre non consente l’apertura allo spirito della parte celeste. La compressione è un’impossibilità di poter comprimere il cranio, la persona tenta di uscire dal suo stress con la sua mente e una predominanza mentale fa girare per la testa tante soluzioni senza trovare però l’uscita fisica, quindi l’azione. Questo creerà una super pressione interna della testa. Si tratta, di solito, di stress emozionali o affettivi, relazionali in particolar modo. In compressione/decompressione, come conseguenza, si può incorrere in fenomeni di emicrania perché questa proviene da un’iper pressione mentale o ancora, classicamente, insonnia (dell’inizio della notte non insonnia da risveglio) che è più una caratteristica da strain anteriore. In Decompressione non c’è il rimbalzo, poiché manca la pressione: questo implica un sentimento di demotivazione. Quando si è in compressione l’unico modo che utilizza la persona per vivere è la volontà e la volontà produce una grande stanchezza; in decompressione, invece, la persona non può utilizzare la sua volontà perché ha perso questo dinamismo. Lascia simbolicamente cadere le braccia. La decompressione non permette di allargare nulla, la parte celeste non può scendere verso la parte terrestre, assenza di fiducia, non c’è sensazione di possibilità di rimbalzo delle situazioni che accadono e che rimangono come attaccate non riuscendo a scivolare via. Si avrà demotivazione, automatismi quotidiani, devalorizzazione e assenza di piacere. C’è la possibilità che il cranio, già dalla nascita, presenti una situazione di compressione o decompressione a seconda dal tipo di parto vissuto e dal tipo di aiuto ricevuto all’origine: per esempio a un bambino nato con parto cesareo mancherà l’ultimo modellamento dato dalle pressioni uterine e del passaggio


    nelle pelvi; potrà facilmente essere quindi presente sin dalla nascita uno strain in decompressione. Unitamente a questa tipologia di nascita sono possibili disturbi successivi di concentrazione di riuscita nella concretizzazione delle proprie idee, turbe del sonno otiti croniche certi tipi di strabismo. Altri tipi di nascita avvenuti con aiuti di ventose o forcipe possono essere anch’esse causa di strain in compressione o decompressione.

La seduta

Spesso le famiglie di strains si mescolano tra di loro, si sovrappongono in risposta ai bisogni della biologia che li esprimono, in relazione – anche – all’anzianità degli impatti stressanti accaduti nella storia personale di ogni persona.

Durante la seduta l’indagine è colloquiale: chiedo al cranio di dirmi quanti strains sono presenti in questo momento.

  • Uno strain? Due? Tre?

La pulsazione è presente nell’enunciazione del numero:

  • Uno?

(Sì, ok. Pulsa!)

  • Due?

(Sì, ok. Pulsa!)

  • Tre?

(No, nessuna pulsatilità!)

In quest’ultimo caso continuo a chiedere:

  • Abbiamo due strains? (Sì, ok. Pulsa!).

Verifico nuovamente:

  • Abbiamo per caso tre strain? (Nessuna pulsatilità, no!)

Volendo si può ulteriormente verificare l’esattezza del dialogo con una successiva domanda, in negativo:

  • Quindi, non abbiamo tre strains?

(Sì, ok. Pulsa. Dice di sì al fatto che non ci siano tre strains!)

Perché la terapia sia efficace, mi serve conoscere, inoltre, le famiglie di strain in causa: con semplici domande ottengo risposte semplici.

  • Prima famiglia? (si/no)
  • Seconda famiglia? (si /no)
  • Terza famiglia? (si/no)
  • Quarta famiglia? (si/no)

Ho notato, nel corso della mia esperienza, che tre persone su quattro sono orientate a gestire prevalentemente strains della seconda e terza famiglia. Quello che mi serve sapere sono informazioni concernenti la modalità d’impatto dello stress: se per esempio riscontro strain della seconda famiglia anteriore e della terza famiglia laterale destra, posso chiedere al cranio quale dei due tipi di strain si sia insediato per primo. Va da se che il secondo impatto sarà una conseguenza compensatoria del primo. Altresì, mi servirà poter avere queste informazioni per parlarne con la persona interessata, per cercare di risvegliare la sua coscienza agli eventi passati che possono aver generato questo tipo di barriere auto protettive. Uno strain laterale destro impattato a fronte di un’emozione di angoscia del futuro ha possibili radici nell’infanzia, nelle paure dei cambiamenti, può risiedere in un cambio di residenza, nella perdita improvvisa di un genitore, in un lutto familiare, in una separazione, in un cambio di scuola o di classe, oltre a poter dipendere da un senso d’insicurezza affettiva nell’ambito familiare o socio relazionale del bambino. Oppure, capita che il blocco possa essersi generato in epoca intrauterina, dentro le acque materne: sarà correlato all’aver vissuto minacce d’aborto, a una gravidanza difficile, al caso di una madre sola, abbandonata dal compagno, a una gravidanza vissuta possibilmente in modo clandestino, senza appoggi familiari, con situazioni d’incertezza sociale, affettiva e materiale. Oppure ancora, lo strain può provenire – nel caso di una donna – da un sentimento di rancore per l’uomo che l’ha ingravidata e per il suo frutto indesiderato nel proprio ventre, o da pensieri o tentativi d’interruzione della gravidanza eseguiti con metodi quasi sbrigativi, bevendo infusi particolari oppure facendo salti ripetuti per favorire il distacco della placenta. L’aver vissuto la gravidanza come qualcosa di negativo, come una colpa o come uno scandalo, sottoponendo a quotidiane lotte per la sopravvivenza il feto che, con tutte le sue forze, ha già ben radicato in sé l’istinto di sopravvivenza, farà sì che tutte le ansie si traspongano al feto medesimo che, ogni giorno, vivrà il senso di colpa, il disagio e il terrore per tutto ciò che la madre gli ha potuto trasmettere per via inconscia oltre che per via simbiotica ormonale attraverso il cordone ombelicale. Il feto registra tutto come informazioni proprie, fondanti la propria percezione della realtà, e queste saranno inscritte nel cervello limbico – altrimenti detto cervello emozionale. Si noti bene che queste informazioni inconsce acquisite in ambito intrauterino sono attivate, al momento opportuno, da eventi esterni vissuti anche a distanza di decine di anni quando una qualsiasi condizione si presenti e si metta in risonanza con le proprie informazioni percepite e inscritte nel cervello emozionale. Basterà, quindi, un’emozione simile a quella vissuta nell’utero per scatenare l’effetto paralizzante da stress. Quest’impatto sul lungo periodo obbliga la persona a una tendenza di tipo ipo – depressiva – o iper – fuggitiva – (vedi sopra), come conseguenza dell’impossibilità di sentirsi collegato al piano presente, al qui e ora.

A questo punto della terapia chiedo al cranio le priorità di liberazione cui attenermi per il ripristino della libertà circolatoria energetica: il corpo m’indica la risposta perché sa e conosce; il corpo ha – letteralmente – la sua intelligenza biologica di vita e se entri in relazione con lui sei conforme al desiderio che esprime. Quando ci si trova alla presenza di due strains abbiamo bisogno di sapere le priorità d’importanza soggettiva: un caso riscontrato di frequente è quello della persona che presenta la tipologia di strain anteriore e laterale destro. L’importanza della priorità d’iscrizione dello stress nel cranio fa vedere quale dei due sia più importante e come si sia organizzata la biologia della persona in conseguenza l’uno dell’altro.

  • Priorità laterale destro? (Si!)
  • Secondario anteriore?

(Si! Ok. Devo allora incominciare a liberare la paura del futuro che crea una tendenza depressiva.)

La priorità fa vedere come si struttura il computer cerebrale di fronte a questi problemi di strain e la liberazione da tali barriere di sicurezza dovrà essere eseguita nell’ordine coerente con il senso e l’ordine del blocco.

E’ possibile un’altra fissazione memoriale in base all’anzianità dell’impatto stressante inscritto nella memoria cerebrale.  Quando arriva la necessità di liberare anche la spinale S-3 (terza vertebra sacrale) significa che vi sono delle perturbazioni antiche di avvenimenti successi molto lontano nel tempo, a volte già nell’utero, oppure ancora, ereditati dall’asse terrestre familiare.

La liberazione degli strains avviene secondo l’ordine evidenziato dalla pulsatilità corporea e può essere fatta direttamente in sito, sulle spinali sacrali deputate oppure in modalità transfert. Lo chiedo al corpo e, in caso di richiesta transfert per eseguire la citata liberazione, basterà porsi sopra un arto o sullo sterno (o un’altra parte del corpo) e aprire il transfert immaginando di essere sull’osso sacro: per l’energia non c’è differenza tra essere fisicamente in sito o semplicemente pensare di esserlo! Mi capita spesso che, interrogando la pulsazione che sarà scelta come luogo dove attivare il transfert, si arrivi a uno dei due femori; ma potrebbe essere scelto anche un braccio, lo sterno o una tibia. Maurice Poyet ha sperimentato con il suo collegio di ricerca la presenza di numerosi collegamenti energetici, le famose “rette reattive energetiche”, in grado di liberare tutto l’asse centrale dagli intralci energetici che lo perturbano, dal coccige fino al cranio. Il tutto è possibile con pochi gesti correttori informazionali, induttivi, intenzionali, con micro-stimolazioni omeopatiche facilmente recepite dall’organismo, con suggestioni in grado di permettere al corpo di rimettersi in ordine da sintomatologie preesistenti, anche da lungo tempo e ormai croniche.

La completa possibilità di ripristino globale e di liberazione delle restrizioni del moto del fluido cefalo-rachidiano è eseguibile su se stessi o su altri in meno di un minuto; personalmente pratico un controllo su me stesso il mattino, al risveglio, e uno alla sera prima di addormentarmi. Ciò mi permette di mantenere un ottimo stato di riposo e ricarica energetica quotidiani.

Questo modo di vivere è diventato un’abitudine positiva che da circa quindici anni mi permette immediatamente di verificare profondamente la mia biologia. Se trovo in me uno o due strains, chiedo al corpo informazioni utili per tentare di comprendere il senso del blocco, per capire quali emozioni mi hanno portato a difendermi, in quale occasione questa situazione ha impattato dentro di me; se ottengo un si continuo e chiedo di avere informazioni più precise, se ottengo un no mi fermo. Se sono in grado di poter decifrare o no l’informazione essa mi aspetta; a volte, però, non è il momento giusto. Proseguo quindi se mi è permesso, e chiedo l’epoca dell’impatto, il giorno, l’ora esatta: il corpo sa e risponde di conseguenza. Indago sulla possibilità che abbia risvegliato in me o meno una memoria di schema auto protettivo parentale, e se la risposta è un si chiedo da quale ramo familiare provenga, materno o paterno, da quale generazione proviene, da che punto è partito il tutto. Posso entrare in relazione con informazioni andando indietro di quattro, cinque, anche otto generazioni familiari; da quel momento in poi gli esercizi di flessibilità interiore, comprensione e accettazione iniziano ad apportare trasformazioni necessarie portanti alla parte migliore di noi. Quanti conti da fare con i nostri amatissimi antenati! Quanti rancori e resistenze, offese subite, attese deluse, frustrazioni vissute o abusi fisici, sessuali, emozionali, intellettuali da lasciare andare… Siccome la natura fa molto bene le cose, potrebbe arrivare un paziente utile proprio per farmi lavorare su un tema familiare cui non avevo ancora avuto modo di porre una sufficiente attenzione ma non per questo meno importante. Attraverso la reazione costrittiva dei fluidi sono costretto a indagare, a occuparmene e a contattare questa parte sconosciuta a me di me illuminandola e integrandola con accettazione, unitamente al gesto correttore, per renderla non più necessaria nella mia vita.

Poter essere in grado dialogando corporalmente di evidenziare questo stato di cose mi permette sempre più di interagire nel giusto modo con le biologie delle persone che assisto.

L’obiettivo di questo trattamento non è quello di ottenere uno specifico risultato, ma quello di rimettere la persona nella sua unità. Per fare ciò, chi pretende di essere un terapeuta deve essere equilibrato a sua volta.

 

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