“La nostra vera casa è l’ora. Vivere l’istante presente è un miracolo”.

Thich Nhat Hant

ESEMPI ILLUMINATI

Amo il mio lavoro e la mia disciplina ed è chiaro che riesco, per questo, a coglierne tutte le meraviglie. Ma più spesso sono gli stessi pazienti a rilevarne l’efficacia valutando il beneficio ottenuto dai trattamenti, ed è sempre una riscoperta, anche per me, quando vedo – anzi rivedo – la potenza della bio-logica riassestare un corpo, un’anima, dunque una vita. Vorrei poter dire che è sempre così, ma sperando che questo manuale sia anche da stimolo a nuovi e futuri colleghi, mi sento più onesto avvisando i neofiti, evitando così cocenti delusioni. Spesso chi lavora nella relazione d’aiuto annovera un grosso limite: l’ego. Tutto sembra finalizzato alla missione salvifica e al riconoscimento del potere del terapeuta che sanifica. Non è davvero così, anzi, più spesso di quanto si possa pensare il vero potere di guarigione, lo detiene il paziente il quale, attraverso il disagio, la malattia e il relativo percorso di guarigione, salva se stesso. Talvolta qualcuno decide, consapevolmente o inconsapevolmente, di stagnare nel disagio e tu, da terapeuta, non puoi fare altro che accogliere tale scelta, sapendo che ciascuno è artefice del proprio destino, che la mente si chiama “mente” perché mente – come sostiene Osho. Ci troveremo per tanto davanti a dei pazienti in fuga con le scuse più improbabili, che vanno dall’economia, all’essere oberato di lavoro, agli impegni vari ed eventuali. Tutto lecito ma altresì inutile. Oppure, dopo i primi miglioramenti, le persone possono credere erroneamente di aver risolto e quindi ritengono di abbandonare il ciclo di trattamenti quando invece ne hanno ancora bisogno per giungere alla radice del problema e risolverlo. A volte questi atteggiamenti vanno letti anche in modo meno superficiale: non è raro, infatti, che qualcuno che in un determinato contesto socio familiare accentrando le attenzioni su di sé proprio a causa del suo disagio, risolvendolo si temesse di privarsi di quelle attenzioni che il disagio stimolava, dovendo quindi assumersi in toto le responsabilità della sua esistenza. Per quanto strano a noi possa apparire, posso garantire che più di qualcuno rinuncia alla guarigione per non perdere le attenzioni e i benefici apparenti che la malattia porta nella relazione con gli altri. E’ evidente che si tratta di una manipolazione della mente che distorce la realtà. Mi preme fornire queste informazioni con lo scopo – doppio – di avvisare i terapeuti che vedono in questi atteggiamenti una propria colpa o insuccesso, e allo  stesso  tempo parlarne apertamente mi da la possibilità di stimolare implicitamente il lettore a chiedersi se sia un paziente con quelle caratteristiche, se abbia mai sospeso un trattamento, o anche solo una dieta ritenendo la cosa impossibile in quel dato periodo storico della sua vita. Se la risposta è sì non c’è da vergognarsi, almeno una volta ci siamo passati tutti per le trappole della mente, ma almeno oggi con le nuove informazioni acquisite da questo libro più di qualcuno, mi auguro, avrà la possibilità di rileggere se stesso, o magari persone e conoscenti con storie simili. Le bugie sono alla portata della relazione terapeutica, non per una generalizzata etichetta, ma per il semplice fatto che spesso tendiamo a raccontarci la realtà nel modo più piacevole o utile, ma quasi mai reale. Non è quindi da rilevare come una mancanza di fiducia nell’operatore (forse a ragion veduta è più una mancanza di fiducia in se stessi) ma piuttosto come quella sordità all’ascolto di sé che ci rende così ghiotti di dizionari di una qualche psicosomatica. Se la mente, “mente”, il nostro primo alleato capace di riconoscere la persona dietro la maschera è proprio il corpo, poiché egli non sa e non può – per sua natura – mentire, perché connesso e vincolato ai principi della bio-logica e del ben-essere, dove ogni sintomo è denuncia di una causa più profonda che a sua volta tradisce la mancanza di coerenza tra ciò che si è e ciò che si pensa o si vorrebbe essere. Se la persona recita non è nella realtà dei fatti, e il pulse lo rivela. Le persone hanno paura di esprimere il loro disagio, temono di essere scoperte in difetto e per ciò essere giudicabili, con il rischio di auto svalutarsi, s’inventano così quotidianamente la loro realtà psichica che il corpo non può più sorreggere. E’ compito del terapeuta riconoscere la dinamica, accoglierla senza giudizio, e guidare la persona alla rielaborazione del malessere. Mi sovviene un esempio di una signora di cinquantasette anni che ho visitato tanti anni fa: vedova di un uomo che negli ultimi vent’anni non poteva lavorare per una malattia invalidante e costretta a caricarsi sulle spalle una vita di fatica fisica con una professione di operaia metalmeccanica, un figlio in brutte compagnie, che sembra non terminare nulla; una biologia affaticata, che dimostra ben più anni della sua età, portava i tratti di una sopravvissuta.

“Come puoi star in questo stato?” – le chiedo. Lei mi dice rassegnata: “faccio come fanno tutti gli altri, vedo che vanno avanti e vado avanti anch’io, faccio finta di niente”. Ed era proprio questo far finta di niente il primo problema da risolvere. Ho potuto aiutarla a riprendersi la sua creatività, la sua progettualità, a esistere per se stessa. Aveva un diploma di estetista conseguito trentacinque anni prima e dimenticato in un cassetto, che le ha permesso di immaginare scenari nuovi e importanti, in questa nuova fase di vita, e poter finalmente dedicarsi a un’antica autentica passione.

Tuttavia, in questa professione ci sono anche gli insuccessi, che considero tali quando la persona si ritiene immediatamente soddisfatta e sollevata dai dolori, e accetta quello stato di cose credendo che non sia necessario proseguire o approfondire, quasi il benessere potesse davvero avere un limite. Spesso ho ricevuto dei pazienti per un mal di schiena che scompare, ma poi qualche tempo dopo mi contattano per un seguito, al quale eccepisco che forse sarebbe stato il caso di proseguire da prima, in questi casi conviene spiegare meglio loro alla prima occasione il senso della parola “olistico”, soprattutto riguardo a trattamenti osteofluidici. Voglio condividere alcuni casi che ho scelto fra le migliaia che ho avuto perché particolarmente esplicativi circa l’influenza negativa degli strains e il loro condizionamento attivo su più sfumature della vita delle persone. Ovviamente per correttezza i nomi che riporto sono di pura fantasia,

 

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